sto diventando la giornalista di Mia ^_^
K.
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25/10/2007 (7:44)
Contro rincari e chimica si torna all’antico: "Noi l’abbiamo fatto"
CARLO GRANDE
E’ un rito ancestrale, fatto di umiltà e pazienza, ancora diffuso in provincia e nelle campagne: la consuetudine di farsi il pane o la pasta in casa è un’antica sapienza che sopravvive, ritorna e conta sempre più adepti.
Per amore (c’è sempre una componente religiosa nel preparare, cuocere, sfamare amici e parenti) o per forza (visti i prezzi in continua «lievitazione»: oggi è la «Giornata mondiale della Pasta» anche le aziende italiane dell’Unipi si interrogano sul caro-grano) molte persone centellinano lievito, uova e farine, mettono in forno e sulla tavola abilità e passioni da sciamani.
Il gesto di preparare il fuoco e l’impasto, anche un semplice «chapati», la focaccia orientale da cuocere su una pietra, è ricco di risonanze e sopravvive nella civiltà dei supermercati. Quello del panettiere «classico», d’altra parte, non è un mestiere qualsiasi. E fra quanti fanno pane e pasta in casa propria, spesso si incontrano persone non comuni.
Una di queste è Giuseppe Frezza, 49enne genovese trapiantato a Mondovì: è stato ufficiale di coperta e commissario di bordo nelle crociere caraibiche della «Princess Cruises», la compagnia delle «Love boat» dei telefilm. Poi si è fermato ai piedi delle Alpi Marittime, ha messo su famiglia e impostato un’attività da editore: produce i «Pallamondo», mappamondi gonfiabili di plastica e le «tazze letterarie» che vende nelle librerie. Ora si guadagna il pane così, ma quello vero, «cotto e mangiato», se lo fa da solo con Eugenia, la figlia tredicenne. E spesso prepara anche la pasta: «Qui si è sempre fatto – dice – le dispense delle cascine sono più ampie di quelle cittadine. Farsi il salame, avere cose prodotte in proprio risponde alle esigenze autarchiche dell’economia contadina. In città, se manca qualcosa si va a comprare al supermercato». E si strapaga. Per il piacere di offrire il suo pane agli amici impasta anche Magda Ferraris, insegnante di Italiano e Storia in un istituto tecnico torinese: «Lo preparo con farine speciali, non comprerei ma il pane seriale dei supermercati», assicura.
Altro esempio, ricco di implicazioni, è quello di Fredo Valla, regista e scrittore occitano che vive da sempre in montagna, a Ostana, sotto il Monviso. Con la moglie Leda fa spesso la pasta in casa (compresi i ravioli di patate) e cuoce il pane ogni giorno, in un fornetto elettrico: «Tempo di cottura tre ore, le farine le scegliamo noi».
Fredo ha scritto soggetto e sceneggiatura di un film di successo, «Il vento fa il suo giro», girato da Giorgio Diritti. E’ la storia di un pastore che cerca di sopravvivere in montagna: un soggetto così non poteva che uscire da uno come lui. «Scendere a valle e andare dal panettiere significa fare 20 chilometri, costa anche in benzina», dice Valla, «Qui a Ostana fa il pane in casa anche Bruno Bossa, in un forno di pietra. Io spendo di più in corrente elettrica, con i pannelli solari il problema sarebbe risolto, ma bisogna investire migliaia di euro, le banche non aiutano».
Vivere in montagna vuole anche dire questo: il pane fresco è un lusso. E allora ci si arrangia, senza sommosse manzoniane né i forni comuni di un tempo, che sopravvivono solo in alcune borgate come la Balma, in Val Chisone.
Cuocere il pane rimane attività con venature da «resistenti», per così dire. Soddisfa bisogni primari. Con il frumento è nata la civiltà: Giorgio Taborelli, ne «Il piccolo libro dei cibi» (Ponte alle Grazie) immagina «la mano della donna che raccolse nel palmo i grani della prima spiga, i cui chicchi non furono mangiati subito, ma messi da parte e a tempo debito restituiti alla terra». Con un’altra graminacea, l’orzo, ci si disseta: Andrea Pittavino, detto «Aladar», gestore del rifugio Pagarì in alta Valle Gesso (Cuneo), produce un’ottima birra che offre agli escursionisti nella distilleria più alta d’Europa.
Anche questo è un modo per campare, per «guadagnarsi la pagnotta». «Pane e coraggio ci vogliono ancora», canta Ivano Fossati, la lotta per sopravvivere al mercato continua. Chi non ha mai fatto una torta, non ha impastato e atteso, spiando «la creatura» nel forno, non può capire.
LA RICETTA
Lievito
Sciogliere 1 cubetto di lievito di birra con 1 cucchiaino di zucchero in mezzo litro di acqua tiepida.
Farina
In un kg di farina di grano duro mettere l’acqua con il lievito, mezzo bicchiere di olio di oliva e tre pizzicotti di sale.
Impasto
Lavorare la pasta per 10 minuti, quando è compatta e liscia lasciare riposare su un ripiano per circa un’ora.
Cottura
Appoggiare il pane sul ripiano inferiore del forno ancora freddo. Cuocere a 220° per circa un’ora.
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